È buona, salutare, sostenibile, ma soprattutto glocal: è la Dieta Pianeterranea!
Per il quinto anno consecutivo la Dieta Mediterranea, già dichiarata patrimonio Unesco dal 2014, è stata indicata dalle più prestigiose riviste scientifiche come la più salutare al mondo, perché è l’unica ad aver dimostrato scientificamente di esercitare effetti positivi nella prevenzione di numerose patologie. La Dieta Mediterranea, infatti, contribuisce a ridurre del 30% il rischio di eventi cardiovascolari gravi come infarti e ictus, a diminuire di oltre il 50% la probabilità di tumore all’endometrio nelle donne, ad abbassa del 30% il rischio di sviluppare il diabete.
Una fortuna per noi che viviamo nel Paese dove è nata e che possiamo trovare abitualmente tutti gli alimenti che la caratterizzano. Ma chi vive in altre zone del mondo come potrebbe seguirla? La soluzione non poteva che provenire proprio dall’Italia, e più specificamente dall’Università Federico II di Napoli, dove è attiva, unica in Europa, la Cattedra Unesco di Educazione alla Salute e allo Sviluppo Sostenibile, che ha elaborato una traduzione planetaria della nostra Dieta Mediterranea pubblicata sulla rivista Nature.
Nasce così la Dieta Pianeterranea: una declinazione su scala globale della piramide alimentare della Mediterranea sulla base dei prodotti disponibili alle diverse latitudini. Se gli alimenti tipici della Dieta mediterranea sono l’olio d’oliva, legumi, verdure, cereali integrali, frutta fresca o secca, una quantità moderata di carne, pesce, latticini e vino rosso, studiando le risorse di ciascuna regione del mondo si possono ritrovare alimenti con contenuti nutrizionali e caratteristiche simili che possono esercitare benefici simili per la salute.
La proposta dell’Università Federico II è quella di arrivare ad elaborare una dieta capace di esportare in un’ottica globale i principi alla base del nostro modello alimentare giungendo così a creare nuove piramide alimentari locali con i cibi presenti nel Sud est asiatico, ma anche in America latina o in Canada. Per fare un esempio, acidi grassi e polifenoli, che nella dieta mediterraneo sono legati al consumo dio olio di oliva, in America Latina potrebbero essere legati al consumo di avocado, papaya, banane verdi e bacche di andaçaí , mentre in Canada si potranno trovare in olio di canola e noci pecan.
“Prodotti subtropicali popolari come i fagioli pinto e l’okra, ricchi di fibre e proteine, sono associati a livelli ridotti di colesterolo LDL e a una minore incidenza della sindrome metabolica o di eventi cardiovascolari – spiega Annamaria Colao, Ordinario di endocrinologia e presidente della Società italiana di endocrinologia, e coordinatrice dello staff di ricercatori in ambito medico, agroalimentare e ingegneristico, che ha proposto la ‘dieta pianeterranea’ – le macroalghe marine, come alghe e wakame, e la spirulina sono ampiamente consumate nei Paesi orientali e rappresentano una fonte importante di polisaccaridi complessi, minerali, proteine e vitamine, con proprietà anticancro, antivirali, antiossidanti, antidiabetiche e antinfiammatorie. Gli esempi sono tantissimi, ma il concetto della Dieta Pianeterranea, che verrà lanciata attraverso una piattaforma dedicata della Cattedra Unesco di Educazione alla Salute e allo Sviluppo Sostenibile dell’Università di Napoli, è sostanzialmente uno: le verdure, la frutta, i cereali e i grassi insaturi disponibili in diverse parti del mondo possono essere combinati per mettere a punto paradigmi nutrizionali locali, basati su prove scientifiche, definendo diverse ‘piramidi nutrizionali’ basate sugli alimenti disponibili localmente con le stesse proprietà nutrizionali, gli stessi benefici per la salute e analoghi processi produttivi rispettosi dell’ambiente osservati per la Dieta Mediterranea”.