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Polpette, frittate e timballi: l’arte del riuso nella cucina italiana

25/01/2023
copywriter-ohi-vita
Educazione Alimentare

Larticolo 5 del Codice Etico dellAccademia Italiana della Cucina afferma solennemente che essa è contraria allo spreco di cibo. A fronte della fame nel mondo, tale spreco è un fenomeno intollerabile sotto il profilo ambientale, sociale ed etico”. Apre così l’introduzione del presidente dell’Accademia Italiana della Cucina Paolo Petroni al libro La cucina del riuso, disponibile gratuitamente online sul sito dell’Accademia.

 

Una tradizione molto italiana, quella di creare e ricreare meraviglie gastronomiche partendo sia dagli scarti, come bucce di patate, di carote, di piselli, di carciofi, che hanno la loro dignità se ben preparate.

 

Ma anche, se non soprattutto, dai veri e propri avanzi di pane, pasta, riso, pesce, carne e verdure che generano prelibatezze regionali come il pancotto, la pappa al pomodoro, la ribollita, il timballo e la frittata di maccheroni, oltre al polpette e polpettoni.

 

Un mondo attuale e saporito che il libro percorre regione per regione, partendo dalle formidabili zuppe e dolci popolari valdostani come la vapelenentze (brodo di carne e di cavoli verza, a volte brasati-arrostiti, fette di pane raffermo, a volte ricoperto di burro fuso e passato in padella, fontina, cannella e noce moscata) o lou pan perdu (fette di pane raffermo messe nel latte per ammorbidirlo, poi nell’uovo sbattuto e fritte, sulla stufa, con tanto zucchero). E attraversando tutto il nord Italia, compreso il Piemonte con il brus, una saporita crema ricavata dagli scarti e dagli avanzi di formaggio che, racchiusi in contenitori di coccio, fermentavano per la presenza di batteri, e la Liguria con la tradizione del minestrone fritto, ovvero avanzato, compattato, cotto e servito sui gozzi o chiatte che, avvicinandosi a vascelli e galeoni ormeggiati in porto, lo vendevano facendosi calare dall’alto il recipiente.

 

Ricette e tradizioni popolari s’intrecciano in questo libro in una narrazione che percorre tutto lo stivale fino ad arrivare alla prassi quotidiana del riuso del pane in Sicilia con la panzaneddra di Enna, riferimento al duca Alfio Panzanella che la importò riscuotendo facile e largo successo, oppure, in Sardegna, con il pane frattau ottenuto con il recupero del pane carasau in procinto di diventare acido: un piatto così povero, in origine, che chi era benestante se lo preparava rigorosamente a porte chiuse, affinché i vicini non ne venissero a conoscenza…

 

Perché la cucina del riuso non è solo una questione economica e di rispetto dell’ambiente, ma anche di memoria e tradizione: “Basta chiudere gli occhi, immaginare di entrare in una stanza di una casa rurale o in una del centro storico con il camino, o con la cucina economica a scaldare l’ambiente, sentire il profumo di una fetta di polenta messa ad abbrustolire, o di una minestra accompagnata da crocchette di patate o di riso, o da un polpettone di verdure, e abbandonarsi alla magia dell’autunno, ai ricordi di un tempo e alla

nostalgia di quella bellezza semplice che ci accompagna ancora oggi”.