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Quella benefica “Wild Dozen”: una miniera di proprietà ma alcune piante selvatiche sono a rischio

08/06/2022
copywriter-ohi-vita
Sostenibilità

L’olio di argan è un toccasana per capelli e pelle, il burro di caritè viene utilizzato in molti prodotti da forno, la liquirizia aromatizza tisane e caramelle. Le piante selvatiche sono un ingrediente diffuso in tanti prodotti che usiamo quotidianamente, tanto che la domanda negli ultimi venti anni è cresciuta del 75%. E la pandemia sembra che la stia facendo ancora crescere, soprattutto nei paesi più ricchi: solo negli USA nel 2020 sono stati spesi circa 11,3 miliardi di dollari in integratori alimentari a base di erbe. Complessivamente, secondo un recente studio della Rhodes University in Sud Africa, si stima che a livello globale fino a 5,8 miliardi di persone possano utilizzare piante selvatiche o semi-selvatiche.

 

Ma questo sta mettendo in pericolo tantissime specie. A lanciare l’allarme è un Rapporto della Fao dal titolo WILDCHECK: Valutare i rischi e le opportunità del commercio di ingredienti ricavati da piante selvatiche. Sotto i riflettori dodici specie, o “Wild dozen”, diventate vulnerabili, per l’eccessivo sfruttamento da parte dell’uomo, ma non solo. Anche i cambiamenti climatici e la perdita del loro habitat naturale gioca un ruolo negativo nella loro sopravvivenza.

 

Le dodici piante scelte come simbolo di criticità sono candelilla (Euphorbia antisyphilitica), idraste (Hydrastis canadensis), noce brasiliana (Bertholletia excelsa), ginepro (Juniperus communis), liquirizia (Glycyrrhiza glabra), nardo (Nardostachy jatamansi), pigeo africano (Prunus africana), karité (Vitellaria paradoxa), acacia senegal (Senegalia senegal), argania (da cui si ottiene l’olio di argan), baobab (Adansonia digitata), Boswellia sacra (da cui si ricava l’incenso).

 

Attraverso il Rapporto, elaborato in collaborazione con Traffic, organizzazione non governativa che opera nel settore del commercio mondiale di animali e piante selvatici, e con l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, la FAO intende promuovere un impiego sostenibile delle piante selvatiche, dato che all’interno del 21% delle piante selvatiche valutate, ben il 9% rischia l’estinzione.

 

Senza dimenticare le conseguenze socio economico della perdita di biodiversità, perché dalla raccolta e commercializzazione di queste varietà dipende il sostentamento di molte popolazioni. Si calcola che circa 1 miliardo delle comunità più vulnerabili del pianeta dipendano da tali specie per la propria sussistenza.

“L’uso delle piante selvatiche ha implicazioni per la sicurezza alimentare e per la sussistenza di milioni di persone in tutto il mondo – ha affermato Sven Walter, che dirige il team Fao per i prodotti forestali –. È tempo che le piante selvatiche siano prese in seria considerazione nei nostri sforzi per proteggere e ripristinare gli habitat, promuovere sistemi agroalimentari sostenibili e costruire economie inclusive, resilienti e sostenibili, in particolare mentre i Paesi lavorano alla ripresa post-Covid”.

 

Il Rapporto evidenzia anche un problema non secondario di tracciabilità e di corretta informazione perché gli ingredienti ricavati dalle piante selvatiche sono spesso nascosti ai consumatori e sfuggono alla due diligence delle aziende a causa della mancanza di consapevolezza e tracciabilità.

Il miglioramento della sostenibilità della intera filiera potrebbe dunque passare per la trasparenza e la certificazione della provenienza, della qualità e delle finalità d’impiego.