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Sostenibile per il pianeta e versatile in cucina: il fico d’India resiste alla siccità ed è uno dei più promettenti novel food

14/09/2022
copywriter-ohi-vita
Sostenibilità

La FAO documenta come il 75% del cibo mondiale provenga da 12 colture e 5 animali. In particolare,riso, mais e grano costituiscono già il 60% delle calorie che assumiamo dai vegetali. Una sorta di globalizzazione alimentare che riduce la diversità sia ambientale che nutrizionale. Ed è proprio nel tentativo di ampliare l’approccio alimentare alle produzioni naturali che sempre più spesso vediamo comparire categorie di cibi come i cosiddetti nuovi alimenti (novel food), ovvero quelle sostanze, alimenti o ingredienti che non fanno parte della tradizione culinaria europea e che, una volta autorizzati, possono entrare nell’elenco degli ingredienti degli alimenti in commercio.

 

Come riporta anche l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) “Il concetto di nuovi alimenti non è nuovo. Nel corso della storia nuovi tipi di alimenti, ingredienti o modalità di produzione alimentare hanno fatto il loro ingresso in Europa da tutti gli angoli del globo. Banane, pomodori, pasta, frutti tropicali, mais, riso, un’ampia varietà di spezie sono tutti arrivati in Europa in origine come nuovi prodotti. Tra gli ultimi arrivati ci sono i semi di chia, gli alimenti a base di alghe, il frutto del baobab e la physalis (o alchechengi peruviano o ribes del Capo).

 

Ai sensi della normativa UE qualsiasi cibo che non sia stato consumato in modo rilevante prima del maggio 1997 è da considerarsi nuovo alimento. “La categoria comprende nuovi alimenti, alimenti da nuove fonti, nuove sostanze utilizzate nei prodotti alimentari nonché nuove modalità e tecnologie per la produzione di alimenti. Tra gli esempi: gli oli ricchi di acidi grassi omega-3 derivati dal krill come nuova fonte alimentare, gli insetti commestibili, gli steroli vegetali come nuove sostanze o le nanotecnologie come nuove modalità di produzione alimentare”.

 

In prima fila tra questi novel food c’è sicuramente il fico d’India. Anche se da noi, soprattutto in Sicilia, le pale dei fichi d’India colorano i panorami estivi da tempo, visto come questa pianta si trovi perfettamente a suo agio nel clima mediterraneo: non teme il caldo afoso, non ha bisogno di cure particolari e cresce ovunque.

 

Il fico dIndia giunge in Europa nella seconda metà del cinquecento, forse con Cristoforo Colombo, anche se in Sicilia potrebbero averci pensato ben prima i Saraceni o gli Arabi. Ed è proprio nell’isola che il fico d’India trova il suo luogo d’elezione, al punto che il Fico d’India dellEtna è diventato Dop già nel 2003. L’Italia ne è il terzo produttore mondiale e primo in Europa: dopo Messico e Stati Uniti, l’85% della produzione nazionale è concentrata in Sicilia dove, tra le province di Catania e Caltanissetta, si trova il cuore della produzione con il distretto di San Cono.

 

I frutti del fico d’India sono molto gustosi e vengono apprezzati in dolci tipici come il gelo di fichi d’India: la loro è una polpa molto dolce e succosa, oltre che ricca di vitamina C e di vitamina E. Contiene tante fibre e parecchi aminoacidi, oltre che polifenoli. Anche le foglie, però, non sono da meno: possono infatti apportare una buona concentrazione di sali minerali come ferro, potassio e calcio, oltre che vitamine A, B e K. Il fico d’India funziona bene pure come coltura bioenergetica: viene raccolto per farne biocarburanti ed è ottimo anche per rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera: è in grado di fissare circa cinque tonnellate di anidride carbonica per ettaro di coltivazione, uno dei valori più alti tra le specie vegetali conosciute.